«Il riconoscimento assegnato questa settimana dall’Unesco alla cucina italiana come patrimonio culturale immateriale dell’umanità era prevedibile, servile, ottuso e irritante. Da quando scrivo di ristoranti combatto contro la presunta supremazia del cibo italiano. Perché è un mito, un miraggio, una bugia alimentata da inglesi dell’alta borghesia, mangiatori di fiori di loto con palati da bambini viziati, che all’inizio degli anni Novanta trasferirono le loro residenze estive in Toscana, dopo che il successo volgare di Un anno in Provenza di Peter Mayle aveva reso il sud della Francia “plebeo”». Giles Coren*, giornalista, critico gastronomico e opinionista britannico, noto soprattutto per uno stile provocatorio, sarcastico e deliberatamente irriverente – al The Times e al The Sunday Times, i giornali per i quali scrive, si è fatto una reputazione come penna polemica più che come critico vero e proprio – non deve avere ben digerito l’ufficializzazione della cucina italiana a patrimonio culturale immateriale che l’Unesco le ha assegnato mercoledì 10 dicembre. Anzi, proprio non gli è andata giù.




