Quella di Mohamed Shahin, imam della moschea di San Salvario a Torino, è l’ennesima vicenda che divide l’opinione pubblica. E, soprattutto, è un nuovo caso che mette governo e magistratura su due fronti opposti.
A fine novembre, Shahin è stato portato nel CPR di Caltanissetta, dopo un decreto di espulsione per motivi di sicurezza nazionale, firmato dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi.
Nel dettaglio, l’imam aveva partecipato a diverse manifestazioni a sostegno della causa palestinese. Durante una di queste, il 9 ottobre 2023, aveva dichiarato di essere “d’accordo” con l’attacco del 7 ottobre. In seguito ha chiarito la sua posizione, definendo l’azione “una reazione all’occupazione israeliana dei territori palestinesi”.
Per il governo, quella dichiarazione giustifica, se non istiga, al terrorismo. Il Viminale firma il decreto di espulsione. Shahin viene trattenuto. La misura scatena critiche, proteste e appelli.
I suoi avvocati presentano ricorso e chiedono l’asilo politico. Shahin, infatti, è un oppositore del governo egiziano di al-Sisi e, se rientrasse in Egitto, rischierebbe gravi conseguenze.
Intanto, la Corte d’Appello di Torino accoglie il ricorso e dispone la sua liberazione dal CPR.
Ma perché la Corte ha deciso il suo rilascio? E che cosa succede adesso?




