Renzo Arbore, qual è il suo primo ricordo?
«Il Duce. Prima della guerra andavamo a Riccione, unica famiglia meridionale. E quando arrivava questo signore vestito di bianco che tutti applaudivano, mio padre, col bambino in braccio, insieme agli altri ripeteva: il Duce, il Duce».
A Riccione Mussolini perse il costume mentre faceva il bagno.
«Rimase in acqua e chiedeva: qualcuno ha un giornale? Voleva coprirsi. Ma chi ha un giornale in acqua?».
Della guerra cosa ricorda?
«L’odore. L’odore delle micce che si mettevano sulle candele per fare luce. La fame si combatteva con pane e zucchero, mancava pure l’olio».
A Foggia la sua famiglia viveva a Palazzo Arbore.
«Che era utilizzato anche come rifugio. Ricordo i bombardamenti, le “fortezze volanti”, le preghiere che si dicevano e che aumentavano di volume per cercare di coprire il rumore: Pater Ave Gloria… Papà mi incaricava di intrattenere le persone con La bela Gigogin e le canzoncine che mi aveva insegnato la mia balia friulana: “La bela pupa a la finestra l’è tutta incipriata/ la dis, la dis la dis che l’è malada per non mangiar polenta/ se vol, se vol se vol aver pazienza/ lassala maridar…”». L’intervista di Aldo Cazzullo continua su corriere.it




