Biennale Teatro, nella selva oscura dell’identità, per cambiare

di solobuonumore

Biennale Teatro, nella selva oscura dell’identità, per cambiare

Venezia, 28 giu. (askanews) – E’ una Biennale Teatro intensa, calata con lucidità nel presente, drammatica, ma forte di tante consapevolezze. La 50esima edizione del festival veneziano, diretto dal duo ricci/forte, ha visto la consegna del Leone d’oro alla Carriera all’artista brasiliana Christiane Jatahy, i cui corpi setacciano il pianeta alla ricerca di anime gemelle e poi ha spalancato le porte agli spettacoli e alla nostra presenza come pubblico in sala.

"Il fil rouge, o il fil Rot, per essere in tema – ha detto ad askanews uno dei due direttori, Gianni Forte – lega idealmente undici pepite, nove spettacoli più due site specific e la cosa interessante che abbiamo ritrovato in tutti i lavori è una sorta di torsione dello sguardo, una volta di trasversalità che gli artisti stanno compiendo nel senso che prenderanno per mano uno per uno gli spettatori e tenteranno di portarli in questa foresta, in una sorta di sella oscura di memoria dantesca per fare in modo che ciascuno di noi si liberi di queste difese che per due anni abbiamo indossato come uniformi".

"Credo che questa edizione – ha aggiunto l’altro direttore, Stefano Ricci – rappresenti il tentativo che sto facendo di scardinare questo codice binario dell’essere o non essere di shakespeariana memoria. E quindi continuare a raccontare il teatro nella sua rappresentazione immersiva nel quotidiano, oppure astrarsi in una dimensione filosofica, viaggiare, anche attraverso l’utilizzo di media differenti. In ogni caso, in entrambi i casi, raccontare però dopo questo periodo di chiusura totale, la volontà di comprendere dove ancora possa esistere la rappresentazione e dove invece l’arista debba farsi carico si istanze meno rappresentative, ma legate più alla propria identità in trasformazione, quindi l’artista fa spazio all’individuo, all’uomo o alla dona che c’è dietro".

Foreste e individualità, dunque, percorsi esteriori e interiori nei quali, però, pur sotto tanta durezza, si sente ancora il respiro delle possibilità, la forza di un teatro che si fa portavoce di bisogni più grandi.

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